Aspetti cognitivi nei disturbi alimentari

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Una caratteristica dell’organizzazione cognitiva che caratterizza i pazienti con un disturbo del comportamento alimentare è la difficoltà o l’incapacità di riconoscere i segnali biologici di fame e sazietà. Le pazienti anoressiche spesso non riescono a riconoscere i segnali di fame e si sentono precocemente sazie dopo aver ingerito minime quantità di cibo. Le pazienti obese, d’altra parte, interpretano come “fame” sensazioni legate presumibilmente a condizioni diverse( noia, insoddisfazione,etc.) e sono spesso incapaci di riconoscere i segnali di sazietà.

Queste osservazioni, tuttavia, sono meno interessanti  di un’altra: in questi disturbi il comportamento alimentare anomalo si associa a un pensiero costante, all’interno del flusso di coscienza, relativo al cibo e all’aspetto fisico. Si ha l’impressione che i pensieri e le emozioni di tali pazienti siano largamente sostituite da immagini più concrete riguardanti il cibo, i vestiti( che appaiono troppo larghi o troppo stretti) e il proprio corpo, come vuole suggerire l’epigrafe di questo paragrafo. 

L’aspetto pseudo-verbale delle rappresentazioni interne è focalizzato sul cibo e sull’alimentazione. Queste pazienti pianificano continuamente la propria dieta, sognano dolci e altri cibi “proibiti”, calcolano le calorie ingerite e sono estremamente preoccupate di ingrassare dopo aver mangiato troppo ( oppure, più raramente, hanno paura di un’eventuale malnutrizione che potrebbe portare debolezza e altre conseguenze pericolose a livello fisico).

Le immagini delle rappresentazioni interne- elementi che riflettono più da vicino le strutture profonde dell’autocoscienza- ruotano invece attorno a un’immagine di sè spiacevole e insoddisfacente. 
Di norma, quest’immagine di sè è in relazione al corpo e viene descritta nei termini di “sono troppo grasso/a”. Se per i pazienti obesi quest’immagine corrisponde alla realtà, nel caso dell’anoressia è sintomo di “un disturbo a carattere psicotico dell’immagine corporea e dell’idea di corpo, in cui il deperimento quasi grottesco viene difeso come qualcosa di giusto e normale, come l’unica possibile sicurezza contro la paura di essere destinate a essere grasse ” (Bruch, 1973,p.251).

A nostro parere, sia nei casi di obesità sia in quelli di anoressia i pazienti presentano all’interno della propria autoconoscenza una percezione di sè come persone sgradevoli,percezione che assume poi la forma di un corpo disfigurato dal grasso nelle rappresentazioni interne.

 

L’unica differenza è che nel caso dell’anoressia le pazienti combattono contro tale immagine astenendosi dal cibo, mentre le pazienti obese, considerandosi incapaci di modificarla, vi si arrendono. Dal nostro punto di vista la differenza tra anoressiche e obese è dunque piuttosto sottile.

Tale diversità appare ancora più lieve se si pensa a quanto spesso le pazienti anoressiche stesse abbiano la convinzione di essere fondamentalmente “deboli” rispetto al cibo. Spesso, infatti, ripetono frasi come: ” Non posso azzardarmi a mangiare. Se mangio anche solo un boccone in più di quanto faccio di solito, soprattutto delle cose che mi piacciono, ho paura che non potrò più fermarmi” , che concretizzano la loro convinzione di essere deboli e incapaci di controllare la tentazione del cibo.

L’esistenza simultanea della paura di ingrassare e di un’attività immaginativa costantemente focalizzata sul cibo ha fatto sì che alcuni autori si chiedessero se l’aspetto primario dei disturbi alimentari fosse il desiderio di cibo oppure la “fobia del peso” ( Crisp, 1970), la “paura morbosa di essere grassi” ( Russel 1970); se cioè il pensiero costante sul cibo fosse causa o conseguenza della privazione alimentare. 
La testimonianza diretta di una famosa paziente anoressica Ellen West ( il cui caso è stato descritto da Biswanger sotto un’altra etichetta diagnostica) porta a considerare come primario il pensiero costante sul cibo .

 

“Penso che la (mia) vera ossessione non sia la paura di diventare grassa, ma il desiderio costante di cibo. Il desiderio, la bramosia di mangiare dev’essere  la causa primaria ( del mio disturbo). La paura di diventare grassa agisce come un freno.”

Cit. dal diario di Ellen West, riportata da Bruch, 1973,p220)

Contrariamente all’opinione di Ellen West, basata sulla propria esperienza diretta, la maggior parte dei clinici tende a considerare come primaria la paura di ingrassare e come secondari i pensieri continui sulla dieta e sul cibo( Crispo,1970; Russel, 1970).

Da un punto di vista cognitivo-strutturale il problema può essere formulato in maniera diversa. L’immagine di un corpo sfigurato dal grasso può essere considerata come la conseguenza di un problema riguardante  le strutture cognitive dell’indentità personale, e i pensieri costanti sul cibo come una manifestazione dell’atteggiamento che il paziente ha nei confronti di sè e della realtà. Le immagini e i pensieri che caratterizzano i pazienti con disturbo del comportamento alimentare, così come le emozioni che li accompagnano, diventano pertanto comprensibili non tanto in termini di mutua causalità ma attraverso l’analisi delle strutture cognitive che costituiscono l’identità personal. Abbiamo già osservato come dietro alla rappresentazione per immagini di un corpo grasso e a quelle verbali relative ai cibi desiderati e alla dieta vi sia la convinzione di essere in qualche modo deboli e incapaci di autocontrollo di fronte alla tentazione creata dal cibo. 

A un esame più attento, quest’idea di essere deboli ( nel caso dei pazienti obesi) o potenzialmente deboli (nel caso delle pazienti anoressiche) nei confronti del cibo sembra connessa alla credenza di essere persone fondamentalmente incapaci. Di fronte ai doveri sociali ( scuola,esami, problemi lavorativi), a relazioni amorose significative  o a semplici flirt, i pazienti obesi rivelano immediatamente la stessa generale aspettativa di fallimento che accompagna i loro ricorrenti tentativi di seguire una dieta. Nel caso delle pazienti anoressiche, invece, quest’aspettativa di fallimento è inizialmente meno evidente. Essa tuttavia si rivela chiaramente non appena le pazienti si fidano del terapeuta abbastanza da abbandonare le proprie proclamazioni di autosufficienza e fiducia in sè, o quelle di indifferenza verso le proprie condizioni di vita. Tale fenomeno, frequentemente osservato nell’attività clinica, viene descritto da Brunch ( 1973,p254) nel modo seguente.

” La terza, sorprendente caratteristica è un senso paralizzante di inefficacia che pervade tutto il pensiero e le attività della paziente (…) Mentre le prime due caratteristiche ( distorsione dell’immagine corporea e interpretazione cognitiva disturbata degli stimoli corporei) sono prontamente riconoscibili, la terza è camuffata dall’abnorme negativismo e dall’ostinato atteggiamento di sfida che caratterizza il funzionamento di tali pazienti(..) L’importanza monumentale di questa terza caratteristica diviene evidente nel corso di una psicoterapia a lungo termine.  Una volta definita, tuttavia questo aspetto può essere prontamente identificato già nelle prime fasi di trattamento”

 

 

 

 

Tratto da “Processi cognitivi e disregolazione emotiva ” Guidano e Liotti.

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