Agorafobia e fobie multiple associate

Il termine “Agorafobia” viene in genere utilizzato per descrivere la condizione di quei pazienti che riferiscono una forte paura di lasciare la propria casa.

In ambito clinico si osserva comunemente che di norma questi pazienti hanno altre paure: restare da soli a casa, rimanere bloccati nel traffico, usare i mezzi pubblici, fare lunghi viaggi ( soprattutto se in treno o in aereo), trovarsi in luoghi affollati ( cinema teatri, centri commerciali etc.), andare dal barbiere o dal parrucchiere, prendere l’ascensore e cosi via. In genere tali individui fanno o hanno fatto esperienza di forti attacchi di panico, indotti da uno stato d’ansia e accompagnati da vari dolori a livello fisico.

Normalmente, quando devono giustificare il proprio evitamento delle situazioni che considerano spaventose, essi affermano di aver paura di perdere coscienza, di cadere, di perdere il controllo della situazione fino a impazzire, di mostrarsi patetici agli occhi degli altri o che si sentiranno talmente male da morire.

Rispetto a tali descrizioni cliniche multiformi e piuttosto frequenti , aventi in comune la paura di trovarsi fuori casa, possiamo identificare due possibili posizione nosografiche.

La prima individua un quadro clinico complesso, espressione di un disturbo unitario con differenze solo marginali tra caso e caso. I numerosi autori che hanno studiato e descritto questo disturbo lo hanno chiamato in vari modi, a seconda del proprio orientamento nosologico; disturbo da fobie multiple ( vedi Beck, 1976); isteria d’angoscia ( Fenichel, 1945), sindrome fobico-ansiosa con depersonalizzazione (Roth, 1959) e sindrome agorafobica (Marks,1969).

La seconda posizione, invece , considera ciascuna specifica fobia separatamente e sostiene che tali pazienti soffrano di fobie specifiche, in vario numero: agorafobia, claustrofobia, fobia  del traffico, fobia della metro, fobia dei luoghi affollati, fobia del viaggiare in aereo, fobia del barbiere ( Stevenson, Hain, 1967) ; fobia degli ascensori, fobia della morte, fobia di perdere il controllo e cosi via.

 

Aspetti comportamentali

Un’analisi iniziale del comportamento di evitamento che caratterizza i pazienti agorafobici rivela l’esistenza di due ampie categorie di situazioni stimolo che vengono evitate: solitudine e costrizione. La maggior parte dei pazienti agorafobici evita di rimanere sola per lunghi periodi di tempo, a casa, per strada o in altri luoghi pubblici in cui non vi siano persone familiari o fidate. Alcune situazioni vengono evitate persino in presenza di tali figure. Ciò avviene in quei casi in cui allontanarsi rapidamente sarebbe difficile o impossibile: luoghi affollati ( teatri, cinema, code agli uffici pubblici, supermercati, centri commerciali, etc.) ; barbieri , parrucchieri o dentisti; strade con molti semafori e molto traffico; autostrade; aerei o treni ; ascensori e cosi via. Sebbene abbiano in genere paura di viaggiare, se accompagnati da una persona fidata e se possono viaggiare attraverso strade provinciali o statali in cui è possibile invertire rapidamente la marcia, alcuni individui agorafobici riescono a spostarsi in macchina da una città all’altra. Lo stesso viaggio con la stessa persona in autostrada viene evitato proprio a causa dell’impossibilità di invertire velocemente la direzione di marcia.

In alcuni agorafobici i comportamenti di evitamento si fanno molto più intensi e frequenti in condizioni di solitudine.In genere, tuttavia, un’analisi attenta rivela anche la paura e il parziale evitamento di situazioni di costrizione. In altri individui accade l’opposto: la paura e l’evitamento della solitudine appaiono limitate, mentre le reazioni fobiche a situazioni costrittive sono così forti da far sembrare più appropriato l’uso del termine “claustrofobia”. Anche nei casi che si collocano ai poli estremi del continuum agorafobia-claustrofobia  è importante ricordare l’esistenza simultanea di queste due categorie di situazioni temute.

Prendendo in considerazione tale simultaneità durante l’analisi comportamentale , a nostro parere è possibile far risalire alla sindrome agorafobica fobie apparentemente specifiche, come quella degli ascensori e degli aerei.

Quando pensano di non essere in grado di evitare uno stimolo temuto oppure vengono esposti a esso in maniera improvvisa gli agorafobici provano una paura violenta. Le sensazioni associate a tale attivazione vegetativa possono variare di caso in caso e presentarsi tramite sofferenze somatiche interessanti primariamente l’ambito gastrico,intestinale, respiratorio, cardiaco o motorio. A volte uno stesso paziente presenta reazioni diverse se esposto a situazioni di solitudine o costrizione : nel primo caso prevalgono tachicardia, debolezza degli arti, tremore, sensazione di stare per svenire o per cadere, nel secondo invece predominano in genere dolori al petto, difficoltà di respirare, agitazione motoria e tensione muscolare. A volte l’esposizione alle situazioni temute determina reazioni soggettive più complesse e spiacevoli, come un’esperienza di derealizzazione o depersonalizzazione, che viene descritta dai pazienti in vari modi: ottundimento, offuscamento della vista, variazione nella percezione dell’immagine corporea, sensazione che l’ambiente circostante non sia reale e così via ( vedi anche Marks, 1969). Il quadro clinico sopra esposto in genere si sviluppa a partire da uno o più attacchi di panico iniziali che tendono a colpire questi pazienti quando si trovano in una situazione di solitudine o di costrizione, sebbene a volte possano presentarsi anche in situazioni apparentemente “neutre”. Di norma i pazienti non sono in grado di spiegare l’origine di questi primi attacchi d’ansia acuta.La generalizzazione della para e dell’evitamento spesso si verifica molto rapidamente e con una serie di conseguenze invalidanti, come nel caso dei pazienti agorafobici che finiscono per vivere essenzialmente confinati in casa. Nei casi più gravi il comportamento fobico diviene un peso anche per i membri della famiglia, che devono necessariamente accompagnare l’individuo ogniqualvolta si trova a doversi allontanare da casa.

Dal momento che gli agorafobici in genere richiedono la compagnia di un familiare per uscire, viaggiare e spesso anche per stare a casa, è necessario considerare attentamente l’interazione che i pazienti hanno con le figure fidate: come reagisce l’accompagnatore alle richieste della situazione? Come fa il paziente a ottenere una compagnia pressochè costante? E’ possibile che tra i due vi sia una sorta di collusione? In che modo l’agorafobia di un paziente sposato influisce sulla sua relazione coniugale?

Qualunque sia la correlazione tra interazione coniugale e comportamento agorafobico,  è chiaro che non si tratta di un fenomeno definito e uniforme. I resoconti clinici possono dirci qualcosa a proposito della relazione tra matrimonio, separazione dal partner e sviluppo o mantenimento de comportamento agorafobico.

Fry(1962) ha osservato che se intervistati con cura i mariti di donne fobiche rivelavano spesso paure simili o complementari a quelle delle mogli. Esse sembravano “protetti” dall’affrontare apertamente i propri problemi proprio da “sintomi” delle donne: dal momento che era la moglie a essere ” malata” , sembrava che il marito evitasse la solitudine soltanto perchè purtroppo doveva proteggerla dal suo timore di restare da sola.
Liotti e Guidano (1976) hanno descritto un pattern tipico di comportamento interpersonale tra alcuni agorafobici di sesso maschile e le loro mogli.

15 agorafobici di sesso maschile ( nel presente campione ammontano a 19 ) avevano sposato delle donne che esercitavano un controllo costante ed eccessivo sul comportamento aggressivo del partner.

Molte di queste donne presentavano una vera e propria fobia della violenza : erano per esempio incapaci di guardare scene di violenza in televisione o al cinema- anche in casi in cui questa era del grado di un incontro di boxe. I problemi familiari venivano affrontati dalle mogli con angoscia esagerata, o con un immediato ritiro emotivo seguito da un periodo di rancoroso silenzio. Con il passare del tempo l’aggressività dei mariti prima e la loro assertività poi tendeva a diminuire. Il presentarsi dei sintomi agorafobici portava la coppia a raggiungere una sorta di equilibrio paradossale: la moglie, proteggendo e accompagnando il marito “malato” , appariva come il membro “dominante” della relazione, ma in realtà era l’uomo ad avere il controllo delle decisioni di coppia ( per esempio uscire a fare compere era possibile soltanto se quest’ultimo sentiva di poterlo fare, etc.)

Sebbene il tentativo di trovare un pattern di interazione coniugale comune a ogni caso di agorafobia sia destinato a fallire, e sebbene l’affermazione- fatta di frequente dai clinici- che il problema degli agorafobici sia in realtà una relazione infelice abbia un valore soltanto limitato, la nostra valutazione dell’interazione coniugale caratteristica di questo tipo di pazienti sembra comunque suggerire alcune idee che potrebbero avere un valore generale. Ci riferiamo alla forte impressione che mentre parlano con il proprio partner gli agorafobici rispondano più agli aspetti formali ( ossia contestuali e non verbali) della comunicazione che al contenuto della stessa. Questi individui sembrano più inclini della media a notare gli elementi contestuali e non verbali delle relazioni interpersonali e a utilizzarli per “manipolare” la relazione conformemente ai propri bisogni di compagnia, protezione e controllo.

 

 

 

 

Tratto da Processi cognitivi e disregolazione emotiva (Vittorio Guidano , Giovanni Liotti)agorafobia

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