L’ipotesi eziopatogenetica del disturbo di panico che può fornire una cornice idonea all’approccio è, nella sua formulazione più essenziale , molto semplice. Soffre di DP chi sulla base di una vulnerabilità biologica specifica, ha una storia di attaccamento che prodotto pattern di attaccamento connotati da modelli operativi interni che caratterizzano il Sè come fragile e bisognoso ( Liotti,1993). Per sviluppare un DP conclamato, una persona con caratteristiche simili deve presentare però anche uno stile repressivo delle emozioni ( Weinberger,1990) e/o alessitimia ( Taylor, Bagby,parker,1997) es essere esposta a eventi critici che minacciano il suo senso di incolumità. In aggiunta a ciò , si presume che il DP venga mantenuto in essere grazie a meccanismi di evitamento, a contesti relazionali disfunzionali e a un’accresciuta vulnerabilità per l’ansia ( per approfondimenti teoretici su tutti questi punti si rimanda a Andrews et al., 2003; Liotti,1991; Rovetto 2003).
Sulla base di questi presupposti,l’inquadramento clinico del disturbo di panico dovrebbe essere rivolto alle seguenti dimensioni.
- Storia,sviluppo, caratteristiche,familiarità e comorbilità del DP.
- Sintomi di evitamento e agorafobia, con particolare attenzione ai cosiddetti vantaggi secondari e alle eventuali dinamiche relazionali che li cementano.
- Caratteristiche delle abilità di coping, e in particolare delle capacità di autorasserenamento.
- Caratteristiche di personalità, con particolare riferimento ai disturbi e ai tratti di personalità.
Sulla base di questi elementi clinici, in questa sede viene proposto un intervento sul DP strutturato per passi progressivi, per certi versi concepibile come un intervento “a strati”, passando strategicamente ed eziologicamente da una dimensione più sintomatica a una più strutturale, fino a giungere- se necessario o richiesto – a un livello squisitamente esistenziale. Impiegando un approccio integrato, inoltre,ogni singola dimensione viene intesa come rilevante e correlata a tutte le altre ( Gold 1996), vanificando con ciò la distinzione tra il cambiamento ” superficiale” e ” profondo” sulla base del livello al quale l’intervento viene applicato. La progressione da uno stadio all’altro può richiedere l’intervento di metodologie terapeutiche differenti, in funzione degli obiettivi terapeutici, delle caratteristiche del paziente, dell’assetto relazionale all’interno del quale è inserito e- evidentemente- della formazione dello psicoterapeuta; si ritiene, inoltre , che la risposta del paziente a specifici interventi tecnici sia funzione dello stadio di cambiamento e dell’ambito di funzionamento problematico all’interno del quale si trova, richiedendo quindi una concettualizzazione clinica e di intervento tecnico squisitamente integrata ( Chambon, Marie-Chardin,1999; Prochaska, Di Clemente, 1992).
Tratto da Giannantonio e Lenzi (2009)